Il Capitano Ercolino, un uomo d’altri tempi

Un vecchio lupo di mare, che ha contribuito a scrivere la storia di questo Borgo in circa mezzo secolo di imprese sul mare. La sua testimonianza, rilasciata a 93 anni.

Padrone marittimo, appassionato suonatore di mandolino e impenitente dongiovanni, malgrado i suoi  novantatreanni .

  Ercolino è veramente un miracolo vivente:  un uomo d’altri tempi che ha conservato, ad onta dell’invidiabile età, un vigore straordinario una lucidità incredibile, un portamento “altero” non ancora domato dalle innumerevoli avversità della vita e dai tanti lustri accumulati sul groppone. E, infatti, a vederlo in piedi, dritto come un fuso, con i capelli ben ravviati, il foulard annodato sotto la camicia e con quel lampo di compiacimento che, improvviso, gli attraversa gli occhi vivaci e pronti, si direbbe che il tempo per Ercolino Iacono si sia definitivamente fermato .

I ricordi e il mandolino (qui i doppi sensi non c’entrano), sono gli ultimi svaghi del capitano. Di questo caratteristico strumento “napoletano”, ne possiede due esemplari, ben conservati e lustrati, ma l’umidità, si lamenta, attacca le corde e li rende “scordati”. Poi Ercolino passa ai ricordi che gli affollano la mente; ma non sembrano dei lontani fantasmi del passato, sfumati, imprecisi, da ricostruire pazientemente per soddisfare l’interesse e la curiosità dell’interlocutore, bensì essi assumono i contorni di una narrazione appassionata e meticolosa del vissuto, senza purtuttavia cadere nell’esagerazione  e nel facile protagonismo .

Ercolino ricostruisce rapidamente la sua vita e quella del Borgo di Sant’Angelo, ricordando gli anni della  fanciullezza  (siamo  agli inizi del Novecento),   quando  le   condizioni   economico-sociali   dell ‘isola  di Ischia erano contrassegnate  dalla miseria, dalle privazioni e da una certa arretratezza  culturale. Soltanto chi navigava e possedeva un veliero per commerciare e trafficare, riusciva a sottrarsi alla povertà investendo i risparmi in qualche altra attività speculativa (aprire, ad esempio, una bottega, commerciare con il vino, ecc.) o acquistando una casa, un terreno, un’altra barca.

Il padre di Ercolino,  il padrone marittimo Silverio lacono, pur commerciando con il suo veliero, aveva aperto a S. Angelo un negozio di generi alimentari (a puteca“), dove facevano capo quasi tutti i santangiolesi e perfino gente proveniente dalle frazioni  limitrofe.

Silverio aveva battuto la concorrenza abbassando i prezzi della merce di prima necessità (poteva farlo perchè prelevava direttamente i generi alimentari con il suo veliero nei comuni vesuviani) e  largheggiando con il “quaderno del credito”(” ‘a crerenza“). La povera gente faceva la spesa giornaliera con il quaderno, in cui il bottegaio annotava di volta in volta l’ammontare del credito. e pagava poi il debito nei periodi della vendemmia o quando riceveva i soldi per la vendita del vino.

Questi erano i tempi che attraversava S. Angelo agli inizi del Novecento.

Ercolino iniziò a navigare all’età di dodici anni, imbarcato come mozzo sul veliero “San Michele”, perchè nel 1909 era morto tragicamente il padre e la numerosa famiglia aveva bisogno di buone braccia per tirare avanti. La morte del capitano Silverio è ancora impressa nella mente dei santangiolesi; un luttuoso episodio che viene raccontato dagli anziani, a distanza di ottant’anni, con accenti drammatici e di intensa commozione.

Era il primo marzo 1909, una stagione che preannunciava la primavera, contrassegnata da bellissime giornate di sole intervallate da improvvise piogge e temporali. Quella notte (erano le ventitre e trenta) , si levò una furiosa burrasca con impetuose raffiche di vento e grosso mare di scirocco. Il litorale di S. Angelo fu investito in pieno dalla tempesta: le onde con furia apocalittica, travolsero le scogliere abbattendosi rabbiosa· mente sul porticciolo indifeso, dove vi erano ormeggiate alcune barche. Fra queste c’era la tartana “Assunta I.”; un grosso veliero abilitato al trasporto del vino, di proprietà del capitano Giuseppe Iacono e dei fratelli Antonio, Giovanni e Leonardo Iacono. Il  bastimento  correva  serio  pericolo  di essere travolto dalle onde,  perchè    era stato ormeggiato proprio sulla riva.  Lanciato l’allarme, de­ cine di santangiolesi. si precipitarono sulla spiaggia,  come spesso accadeva  in simili circostanze, per organizzare il salvataggio dell’imbarcazione. Furono  allestite velocemente le falanghe (“parati“), livellata in qualche modo la spiaggia, sistemato l’argano a mano (“vira-vira”.) e assicurata   una grossa corda di canapa al veliero.

Intanto altra gente era accorsa sulla spiaggia per dare aiuto ai primi soccorritori. Il mare grosso era aumentato di intensità; enormi cavalloni, spinti da un vento impetuoso, flagellavano la Torre e si riversava no, ribollendo, sull’esile striscia di sabbia. In quell’apocalittica notte, nera come la pece e rischiarata di tanto in tanto, sinistramente, da accecanti sciabolate di lampi, la popolazione di S. Angelo era tutta protesa nell’immane sforzo di sottrarre la barca ai mostruosi artigli del mare. Trenta, quaranta persone iniziarono a girare il grosso argano, spingendo le due aste di legno, lunghe una decina di metri. L’Assunta I., già preda delle onde, ebbe un improvviso sussulto, si raddrizzò sulle falanghe e incominciò a scorrere lentamente sull’arenile. Nel turbinio del vento la voce possente e cadenzata del marinaio portava la “battura” :·Ooo…oh !, Ooo…oh !. La tartana continuava ad avanzare, men tre gli uomini all’argano raddoppiavano gli sforzi per vincere la resistenza della barca che iniziava ad affondare con la prua nella sabbia.

L’argano, assicurato ad un pilastro di selce, infisso nel suolo, strideva sotto l’enorme sforzo, mentre le robuste aste di legno cominciavano a piegarsi per la eccessiva pressione esercitata dagli uomini. Improvvisamente,  quando ormai l’Assunta poteva considerarsi al sicuro sulla spiaggia, un’asta si spezzava facendo tornare indietro vorticosamente l’argano con l’altro braccio rimasto intatto. Gli uomini furono spinti a terra, per il contraccolpo subito, ma tre di essi,  inspiegabilmente, ricevettero un violentissimo colpo alla nuca dalla sbarra di legno, tramutatasi in una micidiale clava. Morivano all’istante il capitano Silverio Iacono e Lorenzo Di Iorio, mentre un terzo marinaio restava gravemente  ferito. La tragedia rimaneva scolpita per sempre nella mente dei santangiolesi. Nel corso di tutti questi anni, il racconto di quella terribile notte è stato tramandato di padre in figlio. C’è addirittura qualche famiglia di S. Angelo che ha conservato gelosamente l’atto legale di risarcimento, con cui i proprietari dell’Assunta “compensarono” le due vedove con la somma di  millesettecentocinquanta lire ciascuna. Ercolino prosegue la narrazione con un fervore commovente : ricorda gli anni della prima guerra mondiale , quando appena diciannovenne fu chiamato alle armi. Giunse a La Spezia, insieme a ottocento reclute, nel 1916 e venne destinato ai servizi sedentari, come aiuto cambusiere nella caserma “Duca degli Abruzzi”.

In seguito alla ritirata di Caporetto, furono richiamati anche riformati, che rimpiazzarono i soldati addetti ai servizi di casermaggio. Ercolino rischiò in un primo momento di essere spedito al fronte, sulle motovedette che operavano nel lago di Garda, ma per l’intervento di un suo parente, fu imbarcato sull’incrociatore “Piemonte”, dislocato nell’area del Dodecanneso. Malgrado diverse operazioni di appoggio navale al Pireo, Salonicco, Patrasso e Smirne, non vi furono veri e propri combattimenti .

 Finita la guerra, Ercolino tornò a Sant’Angelo e nel 1920 s’imbarcò  sul    veliero “L’Assunta”,  come capobarca, insieme al marinaio Valerio Iacono, futuro padrone marittimo . Comandava la tartana un altro lupo di mare: il capitano Dante Iacono, fratello di Ercolino. Nel corso di un viaggio verso  la Sicilia, dove l’Assunta trasportava vino, un improvviso fortunale investì l’imbarcazione al largo di Marsala.

Le potenti ondate colpirono la fragile barca lungo la  murata, mentre le raffiche di vento spezzarono l’albero di trinchetto. Il coraggio dei marinai e la bravura del comandante Iacono servirono a scongiurare la tragedia. Dopo una serie di bordeggi e di manovre per guadagnare il vento in poppa, l’Assunta riusciva ad entrare in porto.  

Per diversi anni Ercolino commerciò vino a Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, poi nel periodo fascista la sua attività ebbe una lunga pausa  perché  gli avvenimenti politici e amministrativi nel Comune di Serrara Fontana lo coinvolsero insieme ad altri amici di S. Angelo che avevano aderito al partito fascista.

Il periodo fascista

Era l’epoca in cui il regime mostrava la sua intolleranza verso gli avversari politici.. Nelle città, come in periferia, le “squadracce” erano mobilitate per “persuadere” gli oppositori ad aderire al partito fascista, pena pesanti rappresaglie. Anche a Serrara Fontana si respirava lo stesso pesante clima di intimidazione, di ricatto e perfino di violenza.

Una sera Ercolino fu messo al corrente da alcuni “camerati” che un certo Stefano Iacono, violento capobanda fascista di Serrara, aveva organizzato una spedizione punitiva contro un gruppo di compaesani, rei di contestare le vessazioni e le prepotenze dei fascistoni locali. Ercolino, che  aveva aderito al fascismo in nome di un malinteso senso della giustizia, dell’ordine e di un tanto atteso benessere economico-sociale, al cospetto di tanta nefandezza rivolta per di più verso i suoi compaesani – si rifiutò di partecipare al raid. E fece bene, perchè nel corso della spedizione ci scappò il morto, vittima incolpevole dell’aberrazione e del settarismo di un’epoca infausta per la nostra terra.

Ercolino per protesta lasciò il partito fascista e nel 1924 partecipò, come candidato in una Lista Civica, alle elezioni amministrative di Serrara Fontana contro i fascisti. La lista civica denominata  “Partito Nazionalista”,  ottenne un vero trionfo : vinse le elezioni e guadagnò la maggioranza dei consiglieri !

Fu eletto sindaco Vincenzo Schiano,  del Ciglio, vice sindaco Ercolino lacono, assessore Valerio lacono.

Purtroppo i nuovi eletti non riuscirono ad amministrare perché  il crescente potere del fascismo in Italia rese possibili abusi e misfatti da parte delle Prefetture -che all’epoca vigilavano sui Comuni-  e della polizia politica che consentiva ogni sorta di violenza da parte degli “squadristi”. Un giorno mentre i Consiglieri e il sindaco  erano riuniti nel municipio, che all’epoca si trovava in località “Pantano”,  a Serrara, alcuni fascisti, armati di tutto punto, assalirono la Sede Comunale con l’intenzione di “compiere una strage”. Ercolino e gli altri riuscirono a fuggire, ma da quel gravissimo episodio – rimasto impunito – non fu più possibile esercitare il diritto di amministrare il paese secondo il principi della sovranità popolare. Questo diritto, in pratica, non esisteva più.  Il regime, approfittando della confusione,  inviava a Serrara un Commissario prefettizio per “riportare l’ordine”, ma in  realtà per esautorare l’assemblea democratica eletta dal popolo.

Con la venuta del commissario, inoltre, iniziarono le prevedibili  rappresaglie e vendette nei confronti degli antifascisti. Ercolino fu tassato sulla sua modesta barca per ben quattordicimila lire, mentre natanti più grossi, appartenenti a noti fascisti, pagavano novemila lire.

 Non per questo Ercolino modificò  il suo atteggiamento improntato al completo rifiuto del fascismo.

Un giorno si trovava nel “Dopolavoro” di Sant’Angelo, dove oggi funziona il ristorante “Il Pescatore”: un locale messo su dal regime, dove si riunivano diversi santangiolesi per giocare a carte, sorbire un caffè e scambiarsi quattro chiacchiere. Nello stanzone c’era una radio che di tanto in tanto trasmetteva i comunicati del Governo. Sembra che vi fosse l’usanza (ma sarebbe meglio dire la norma) di alzarsi rispettosamente in piedi quando parlava Mussolini o i grossi tromboni del fascismo.

Naturalmente Ercolino restava regolarmente seduto, infischiandosene dei suoi compaesani che scattavano in piedi sotto lo sguardo severo e indagatore dei fascisti locali, che avevano, fra l’altro, il compito di controllare la popolazione e dirigere il Dopolavoro.

Questi mal sopportando l’indifferenza di Ercolino, gli si avvicinarono e con arroganza gli dissero :  Qui non sei più gradito. Devi restituire la tessera del Dopolavoro e andartene.   Ercolino, rispose: La restituirò quando mi metterete per iscritto il motivo. La secca risposta dei fascisti non si fece attendere: Il motivo ti  sarà detto quando ti spediremo al confino!-

Ercolino si guardò bene dal restituire la tessera e se ne andò a casa, dove raccontò l’accaduto alla moglie. La signora Iacono -maestra elementare- preoccupata per le minacce dei fascisti, di cui conosceva tutte le virtù, si portò a Lacco Ameno, per chiedere l’intervento del Federale Carlo Tallarico. Questi svolse una veloce indagine e in capo a una settimana venne a S. Angelo. Dalla breve “inchiesta” erano emerse parecchie marachelle sul conto dei fascisti locali che avrebbero potuto compromettere diversi personaggi. Tallarico mise tutto a tacere, ma ordinò nel contempo  ai camerati di S. Angelo di non dare più fastidio ad Ercolino. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, il Borgo di Sant’Angelo era diventato crocevia del contrabbando. Ercolino ricorda che con la farina proveniente dal mercato nero, si preparavano prelibati tagliolini e zeppole che venivano poi fritte in un olio puzzolente ricavato dai “capechiatti“, un pesce poco appetibile.

La chiamata alle armi

Nel 1940 Ercolino fu chiamato alle armi per la seconda volta e imbarcato sul piroscafo “Zeffiro”; una motocisterna per il trasporto dell’acqua potabile. Nel settembre dello stesso anno, fu trasferito sul mercantile “Maria Eugenia”, di quattordicimila tonnellate, adibito al trasporto di truppe e mezzi corazzati, sulla rotta Napoli-Bengasi-Tripoli. Aveva da poco effettuato le operazioni di scarico e si apprestava alla partenza, quando all’orizzonte, era l’ora del tramonto, ecco apparire una squadriglia dì cacciabombardieri inglesi provenienti da Malta. Pochi secondi e si scatenava l’inferno. Le bombe piovevano dapperttutto colpendo navi, postazioni belliche, magazzini. La contraerea rispondeva con assordanti colpi di artiglieria e illuminava lo spazio aereo del porto con potenti fasci dì luce dei riflettori.

La “Maria Eugenia” veniva colpita a poppa, nella stiva n. 6,  incendiandosi. Ercolino si pose in salvo, insieme alla gran parte dell’equipaggio, sulle lance precipitosamente calate in mare. Furono raccolti dalla nave ospedaliera “Palasciano”, che incrociava nella zona. Ercolino ricorda che mentre si trovava a bordo della grande unità, contrassegnata dalla croce rossa e illuminata a giorno, giunsero alcuni pescherecci con un carico impressionante di morti e feriti. Si trattava dell’equipaggio dell’esploratore italiano “Aquilone”, finito sulle mine magnetiche al largo di Bengasi e saltato letteralmente in aria. Delle duecentottanta persone di  equipaggio, si salvarono appena quaranta uomini !

Nel 1941 Ercolino fu imbarcato sulla nave da carico “Niccolò Odero”, che trasportava vettovaglie e munizioni sulla rotta Napoli-Tripoli. Durante la navigazione, erano le quattro del mattino, un aereo solitario iniziò a sorvolare la nave, compiendo ampie virate per studiare l’attacco; poi, improvvisamente, si lanciò a bassa quota sganciando in successione il suo carico di morte. Diverse bombe finirono in  mare, ma una di esse andò a segno infilandosi nel  fumaiuolo  del mercantile.  Lo scoppio  avvenne nel locale macchine, dove per un vero miracolo le caldaie non  saltarono. Morirono soltanto alcuni fuochisti, mentre diversi soldati che riposavano su di un ponte vicino alle caldaie, restarono ustionati dai getti di  acqua bollente fuoriusciti dalle tubazioni scoppiate. Il piroscafo ben presto s’incendiò e  il comandante diede l’ordine di “abbandono nave”. Furono calate le lance di salvataggio, mentre incominciavano ad affluire i primi feriti che si trovavano in prossimità del locale macchine.

Ercolino, assegnato ad una lancia, mentre eseguiva le operazioni cli ammaraggio, si ricordò che nel pozzetto di coperta, pieno di mezzi corrazzati, c’erano trecento soldati, non esperti cli navigazione, che rischiavano di morire. Spinto da un impulso di solidarietà umana, abbandonò il posto di manovra e si spinse giù per  il cunicolo verso quei disgraziati che non sapevano trovare nemmeno la via d’uscita in quel labirinto di ferro e di fuoco. Gli ustionati urlavano dal dolore, i feriti chiedevano aiuto ai compagni che tentavano in qualche modo di districarsi fra i carri armati che stipavano il ponte. Ercolino, da espertissimo uomo di mare, indicò il percorso per venir fuori dal pozzetto e si precipitò verso una murata della nave, dove c’erano le scialuppe di salvataggio. Purtroppo le lance erano state tutte utilizzate; vi erano soltanto alcuni zatteroni che sporgevano dal ponte. Ercolino afferrò un’accetta e cominciò a tagliare le “rizze”, imitato dai soldati. Le zattere caddero in mare trattenute dalle “barbette”, mentre i feriti iniziavano a scendere lungo le “pescaggine” calate da Ercolino. Quando i soldati ebbero preso posto sulle zattere, furono tagliate le barbette e i natanti si allontanarono dalla nave.

Ercolino, dopo aver posto in salvo i soldati, ritornò sul ponte dove era stato assegnato, ma non trovò la scialuppa  di  salvataggio. Si diresse allora verso l’altra murata della nave e rinvenne per una miracolosa coincidenza un canotto di ferro che non era stato utilizzato. Faticosamente lo calò in mare e vi saltò dentro,  ma, quando si accinse a tagliare le barbette, si accorse con sgomento di aver dimenticato l’accetta sul ponte della nave. Fortunatamente sul mercantile in fiamme c’erano ancora dei ritardatari. Un soldato e tre marinai si affacciarono improvvisamente dalla murata e facevano cenno ad Ercolino di aspettarli. Questi gridò loro : ·Prendete un’accetta o un coltello e scendete, perché dobbiamo tagliare le barbette· I quattro si lanciarono per le pescaggine e guadagnarono il canotto. Con un coltello tagliarono le cime e si allontanarono frettolosamente a colpi di remo dalla nave. Impegnato nell’opera  di soccorso, Ercolino  non aveva notato che l’aereo nemico continuava a sorvolare il mercantile, ormai agonizzante, come fa l’avvoltoio con la vittima da ghermire. Dobbiamo allontanarci il più presto possibile dalla nave in questa direzione- gridò Ercolino ai rematori, indicando la rotta controvento • l’aereo sgancerà altre bombe d’infilata e noi rischiamo di saltare insieme al canotto! Infatti l’aereo, poco dopo, operò un’ampia virata e sganciò in successione diverse bombe che diedero il colpo di grazia al mercantile.

Il ritorno a Sant’Angelo

Nel 1943, dopo l’armistizio, Ercolino tornò a S. Angelo, ma si trovò senza lavoro. Fame e miseria affliggevano le popolazioni isolane;  i generi alimentari erano introvabili; per un pezzetto di pane la gente era disposta a svendere oggetti di valore; per un pò di olio o di carne si sacrificavano interi patrimoni. Poi fu introdotta la tessera, che dava diritto ad una piccola razione giornaliera di pane. Per mettere qualcosa sotto i denti, si andava in campagna in cerca di “borracce”, “tunzi“, “rapicciolle” ed altre erbe selvatiche, un tempo alimento per i conigli; ma anche questi vegetali, diventati di punto in bianco generi prelibati,  risultarono introvabili. Ercolino preferisce  non indugiare su questo triste periodo che gli ricorda, fra l’altro, una spiacevole disavventura.

Si era nel maggio del 1943. Era andato a Ischia, alla Capitaneria di porto per ottenere un permesso di navigazione, che gli fu  negato. Mentre si aggirava sconsolato sulla banchina, tre figuri lo avvicinarono chiedendogli se per caso avesse disponibile una barca per effettuare un trasporto di generi alimentari di contrabbando. Si trattava di andare a Mondragone  per caricare sacchi di fagioli,  compenso mille lire ! A Ercolino non parve vero tutto ciò. Preparò immediatamente il gozzo “Madonna di Pompei” e nel corso della notte partì per Mondragone. Alle prime luci dell’alba avvistarono la terraferma. I tre indicarono l’imbocco di un canale navigabile, verso  Castelvolturno,  dove Ercolino avrebbe dovuto attendere l’arrivo del carico, poi si dileguarono nelle campagne. In capo ad un paio d’ore ecco arrivare sulla riva del canale un carretto trainato da due grossi buoi ed i soliti tre figuri che parlavano concitatamente fra loro. Era successo che i contadini non avevano mantenuto la parola : dei fagioli nemmeno l’ombra;  erano disponibili soltanto quindici sacchetti di granturco e, peggio , la zona pullulava di gendarmi e guardie di finanza. Ercolino si accontentò del granturco e iniziò a caricare i sacchi sulla barca, mentre i tipacci si tenevano prudentemente lontani, sul carretto, pronti a fuggire in caso di pericolo. E, infatti, d’improvviso, ecco sbucare dalla folta macchia di un boschetto numerose guardie con i fucili puntati, i quali intimarono il mani in alto al povero Ercolino, già sul punto di mollare gli ormeggi. I tre, vista la mala parata, si allontanarono precipitosamente lasciando perdere le loro tracce nelle campagne circostanti. Per Ercolino non ci fu niente da fare, malgrado la comprensione del sottufficiale di Finanza. Condannato a sei mesi di carcere (e la barca sotto sequestro), dovette scontare la pena in un piccolo carcere mandamentale di Capua, assistito dai generosi contadini del luogo, che in tutto il periodo della sua permanenza non gli fecero mancare mai il necessario per vivere. Ercolino si asciuga gli occhi umidi di commozione, poi prende un  grappolo d’uva da un piatto colmo d’acqua e ne mangia con gusto i piccoli chicchi zuccherini

Notizie tratte da “Il villaggio di Sant’Angelo nell’Isola d’Ischia” di Gino Berbieri – 1989