Grandi pittori del recente passato sull’isola d’Ischia

Giuseppe Patalano “Bolivar”

Chi ha in mente i panorami, gli scorci, la natura, il mare di Ischia e pensa ingenuamente che la pittura, in un posto del genere, non possa far altro che dedicarsi al vedutismo panoramico, deve “fare i conti” con l’arte di Giuseppe “Bolivar” Patalano. Con l’arte, ma ancor di più con la vita da romanzo di quest’artista “sui generis” nato a Forio nel 1901 e morto a 80 anni dopo aver vissuto molte vite in una. Poi emigrante a Providence, Stati Uniti, presso un fratello maggiore, occupato in mille mestieri: cameriere, rappresentante, cassiere in banca e pure giornalista, proprio come il padre Luigi Patalano, ideatore e primo proprietario di quella che poi diverrà La Colombaia di Luchino Visconti. Ancora, la Grande Depressione del 1929 che come un buco nero inghiottisce cose e persone, compreso la vita di Giuseppe Patalano. Forse un’amnesia, forse il coinvolgimento più o meno diretto in un omicidio, fatto sta che agli inizi degli anni ‘30 di lui si perdono le tracce in un ospedale psichiatrico da qualche parte in America. Infine, dopo 15 anni (dal 1934 al 1949) di incubi, angosce e sofferenze, il ritorno a casa a seguito del pronunciamento di un giudice che ne ordina l’estradizione dagli Stati Uniti.

Escluso dall’asse ereditario dai fratelli che lo credevano morto; senza lavoro, senza pensione, Giuseppe Patalano prende finalmente in mano la sua vita e comincia a dipingere. Prima di notte per placare l’insonnia febbrile, poi anche di giorno, a casa, per strada, ovunque, fino a quando di lui non si accorge un’artista svizzera, Lelò Fiaux, che ne intuisce il talento, lo indirizza al figurativismo e organizza per Giuseppe “Bolivar” Patalano due personali a Losanna nel 1956 e nel 1961. In quegli anni Forio vive una breve ma intensa stagione artistica di cui sono protagonisti personalità della letteratura come Auden e Moravia, della pittura come Bargheer e Pagliacci, della poesia e della critica letteraria come Libero De Libero. E poi saltuariamente Guttuso, Elsa Morante, Enrico D’Assia e tanti altri, tutti riuniti ai tavolini di un’osteria con un bel pergolato di glicine al centro di Forio: il Bar Internazionale di Maria Senese. E quell’ambiente cosmopolita che contribuisce all’emancipazione artistica del cinquantenne Patalano che, oltre a frequentare Auden, uno dei massimi interpreti della letteratura e della poesia anglosassone del ‘900, trova anche l’amore di Maria Maddalena, una conterranea in grado di scrutarne l’anima e lenirne la sofferenza psichica accumulata in quasi vent’anni di ospedale psichiatrico. Giuseppe Patalano è stato paragonato a Rembrandt, Cezanne e pure a Van Gogh. Astrattista, impressionista, espressionista, le definizioni che lo hanno riguardato, alle quali però l’uomo ha sempre opposto una semplice constatazione, figlia della familiarità con le antiche maestranze dell’isola d’Ischia: “io sono un muratore“.

Il pittore Ernst Burche

Ernst Bursche, un pittore del circolo culturale di Dresda intorno a Otto Dix, di cui fu allievo e anche amico per molti anni. Dipingeva quadri di uomini, di fiori, di montagne frastagliate e gravide di miti, di profondi burroni e di paesaggi costieri. E un nero uccello rapace, precipitato al suolo da un cielo blu pallido. Un uccello morente con le larghe ali aperte, nel mezzo del di- stretto di caccia di questo mondo.

Ernst Bursche, che, come si racconta,  si recava alla sua spiaggia di Forio con una borsa, con dentro sempre una bottiglia di vino. Talvolta portava anche dei carciofi, che collocava sulla sabbia e dipingeva. Un uomo che amava soprattutto le rose, i fiori arancioni di melagrana, i fiori di cactus, di agavi e di oleandri. Spesso i colori dei suoi acquarelli sembravano esplodere. Quelle che trascorremmo insieme furono per me ore preziose. Un giorno mi invitò nella sua casa in campagna tra i vigneti di Forio, in via Chiena. All’ombra della terrazza bevemmo vino delle pendici dell’Epomeo. Guardammo i suoi quadri nell’atelier inondato di luce: con vedute su Forio, uno dei suoi ultimi lavori,  e sul massiccio dell’Epomeo, sulle pittoresche insenature e le selvagge formazioni rocciose. E nature morte con grappoli d’uva In una serena atmosfera parlammo dei suoi anni a Ischia. Talvolta diventava serio, guardava Forio che lontana si stendeva sotto di noi, guardava l’antica cittadina fino a Punta Caruso.

Albert Ferenz

Albert Ferenz (nato il 2 dicembre 1907 a Groß Hoschütz , morì nel1994 a Monaco ) è stato un pittore e restauratore tedesco dei Sudeti. Raggiunse Sant’Angelo d’Ischia negli anni ’60 realizzando opere e composizioni straordinarie.

Nel 1952 Ferenz si trasferì a Monaco , dove nel 1958 fondò l’associazione degli artisti The Independents . Ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Premio della ninfea della città di Monaco per le belle arti nel 1980, il Premio della cultura dell’Alta Slesia del Nord Reno-Westfalia nel 1980 e il Premio d’arte Schwabing della città di Monaco per la pittura e la grafica nel 1987 . Nel 1979 è stato nominato membro a pieno titolo dell’Accademia tedesca delle scienze e delle arti dei Sudeti , classe di arti e scienze. Albert Ferenz morì nel 1994 a Monaco di Baviera dopo una grave malattia.

Lothar Diez

Lo scultore Lothar Dietz è nato a Jesserndorf nella Bassa Franconia come figlio di un insegnante. Dal 1910 ha studiato a Monaco, inizialmente presso la scuola professionale sotto Karl Killer . Durante questo periodo ha realizzato la sua prima opera pubblica con la decorazione del portale presso la scuola municipale in Deroystraße. Dopo la scuola professionale, ha proseguito i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Monaco con i professori Erwin Kurz , Hermann Hahn , Adolf Hengeler e Angelo Jank .

Ha lavorato come artista freelance a Monaco ea volte ha diretto la sua scuola di scultura. Uno dei suoi numerosi allievi è lo scultore Claus Nageler . Lothar Dietz ha esposto regolarmente come membro della Cooperativa degli artisti di Monaco alla Grande Esposizione d’Arte Tedesca . Strettamente legato alla scena artistica di Schwabing , faceva parte del gruppo di artisti “Seerose”.

Socievole, dal 1960 al 1975 occupava il posto di W. Gilles nella piazzetta che era il punto d’incontro con tutti ogni sera, con un buon bicchiere di vino. Per gratitudine e per ricordo ha donato al paese un rilievo in bronzo incastonato nel muro dove era solito sedersi. Il rilievo raffigurava l’isolotto, i pescatori con i pesci, le barche ed egli stesso in un angolo con il suo eterno basco. Deceduto nel 1976 a Monaco, è stato inconfondibile, originale, pieno di spirito, umorismo ed amato da tutti i pescatori ed abitanti di Sant’Angelo.

Aldo Pagliacci

Uno dei grandi artisti che elesse Forio a suo buen retiro, sino a farne, sul finir della vita, sua seconda casa, fu il pittoreincisoreliutaioAldo Pagliacci (1913 – 1990). Nato a San Benedetto del Tronto, ben presto si trasferisce con la famiglia a Pesaro dove compie i suoi studi artistici e, dove, sin da giovanissimo, mostra doti non comuni nella difficile arte della pittura. A soli 20 anni decide di trasferirsi in Africa, dove partecipa alla campagna di Etiopia e dove si trattiene ben oltre il termine di quella sciagurata avventura coloniale. Gli anni “africani” di Aldo Pagliacci, conditi dall’esperienza della guerra e della prigionia in un campo di concentramento in Rhodesia, sono decisivi per la sua maturazione artistica e umana. Le sofferenze vissute però non traspaiono mai direttamente nella sua arte, a vantaggio di scene di vita vissuta, dalle gesta dei predoni nel deserto, al bivaccamento notturno, passando per interminabili ed assolati paesaggi. Questa preferenza per il paesaggio, per attimi di vita che assumono significatività solo al momento della loro resa su tela, gli valsero l’accostamento della critica al simbolismo metafisico di un altro grandissimo pittore italiano, Giorgio De Chirico (1888 – 1978) a cui lo legò artisticamente, in età adulta, anche una spiccata preferenza per le nature morte.

Pagliacci arrivò a Forio nei primi anni ‘50, insieme – si fa per dire – ad altri artisti come AudenBargheerGilles, che in quel periodo movimentavano la vita culturale del paese delle torri, trascorrendo interminabili giornate ai tavolini del famoso Bar Internazionale, meglio conosciuto come Bar Maria. Pagliacci no, o comunque in maniera molto minore, preso com’era dalla smania del viaggio che in quegli anni lo portò ad alternare freneticamente lunghi soggiorni in giro per il mondo: America LatinaStati UnitiRoma, dove aveva studio, la sua Pesaro e poi di nuovo Forio.

Negli anni ‘80, dopo tanto girovagare e dopo la perdita di una gamba a causa di seri problemi circolatori conseguenza dell’eccesso di alcool, Aldo Pagliacci si trasferì definitivamente a Forio, nella stessa abitazione, nel cuore di quei vicoli saraceni, in via San Giovanni, dove aveva sempre risieduto nei suoi frequenti soggiorni sull’isola.

A Forio è morto nel 1990, senza però che le istituzioni locali gli riconoscessero, almeno da morto, quel giusto tributo che egli, fedele alla sua formazione anarchica, aveva sempre sfuggito in vita. I suoi resti giacciono infatti nella fossa comune del cimitero di Forio.

Luigi Coppa

Gino Coppa, foriano, pittore, che riuscì a calare l’architettura e la vita foriana in un’atmosfera cosmopolita. I suoi quadri sono un unico che non si trova in nessun altro artista isolano, un unico nato dall’approfondimento e dallo studio dei pittori che lo avevano preceduto, come Eduard Bargheer. Uno studio che però lo porta a creare uno stile capace di distinguersi da tutto il resto che lo circondava: quadri spesso fatti di poche pennellate, ma nei quali ogni pennellata ha il valore di una firma, la sua.

Nella pittura di Coppa affiora sempre il senso di una cultura vasta e composita, assimilata attraverso esperienze profonde, scelte intelligenti, filtrate da una sensibilità acuta e vibrante, che nulla lascia al caso e all’improvvisazione, al puro gioco formale”.

Roma, Istanbul, Francoforte, Berlino, Monaco di Baviera, Parigi, e poi ancora Austria, Grecia, Svizzera, sono le città e le nazioni in cui ha esposto il pittore foriano Gino Coppa, probabilmente l’artista isolano, insieme a Mario Mazzella, che ha raccolto i maggiori successi di critica e di pubblico a livello internazionale. A ulteriore dimostrazione dell’esistenza di una scuola ischitana di pittura nel ‘900, su cui tuttavia ancora non si è indagato e studiato a sufficienza.

Nell’arte di Gino Coppa convivono cultura alta e temi popolari, con una forte caratterizzazione etnica che è presente in tutti i cicli pittorici dell’artista: dalla produzione giovanile, dominata dalla realtà paesana colta negli aspetti rituali e folcloristici (processioni, feste, scene di pescatori, contadini, paesaggi foriani); al periodo africano, dove matura e si consolida quello che il critico e giornalista Paolo Ricci ha definito un approccio artistico “anti-idealista“; fino al ciclo dei bambini, durante il quale l’osservazione quotidiana dei sui tre figli diventa l’occasione per una riflessione più profonda sul mondo dell’infanzia, tra l’altro, senza nessuna concessione idilliaca e pedagogica. *

*Notizie tratte da Paolo Ricci, “Artisti dell’isola d’Ischia”, a cura di Massimo Ielasi, Società Editrice Napoletana, 1982)

Ulrich Neujahr

Pittore che giunse a Sant’Angelo negli anni ’40 ed ha sempre abitato presso “Agnesina”sino agli anni settanta, ai piedi dell’isolotto. Ulrich Neujahr ha trovato la sua seconda casa nel villaggio di pescatori di Sant’Angelo  d’Ischia. In questo luogo ha lavorato insieme ai pittori Werner Gilles, Eduard Bargheer e Hermann Poll. Ha presentato con le sue opere l’uomo e la natura con quei colori ed emozioni tipiche dell’Espressionismo del centro d’Europa. Autore anche di xilografie che rappresentavano avvenimenti maggiormente rappresentativi che lo colpivano durante l’anno. Ha lavorato anche insieme ai pittori Eduard Bargheer e Hermann Poll. Nell’estate del 1977 a Sant’Angelo dipinse il suo ultimo quadro.

Ute Reindl

Pittrice di origine tedesca, Ute Reindl vive e frequenta Sant’Angelo dall’inizio degli anni settanta. Con la sua pittura, ella presenta i magnifici paesaggi isolani con precise finiture e colori solari.

Edmondo di Napoli

Pittore partenopeo, si diplomò maestro d’arte nel 1956. Organizzò la prima mostra personale a soli 19 anni, e ben presto iniziò a girare Italia ed Europa. Numerose le sue personali, esposte oltre che a Napoli anche a Venezia, Bari, Genova, Roma, Milano, Bologna, Torino, nonché all”estero: Parigi, Lugano e Waldikirchen.

Edmondo Di Napoli dipingeva facendo uso di varie tecniche quali tempera, acrilico, tecnica mista, pastello,acquerello, ceramica, inchiostri, ma prediligeva gli oli. Ha trascorso molte stagioni degli anni ’80 e ’90 a Sant’Angelo. E’ stato anche riconosciuto “Ospite gradito” dal Comune di Serrara Fontana per la sua lunga permanenza nel borgo di Sant’Angelo. Morì a Pozzuoli nel 2016.

Michele Petrone “Peperone”

L’aspetto più evidente della produzione artistica di Michele Petroni, in arte “Peperone“(1940 – 2011) è la totale compenetrazione tra la sua creatività e l’amatissima Forio. Un paese-mondo di cui Petroni ha esaltato le bellezze, denunciato le ipocrisie, privilegiando però sempre la dimensione poetica della realtà rispetto al messaggio immediatamente politico. Come è stato autorevolmente sottolineato dai molti amici che gli sono vissuti a fianco, anche quando la sua arte si è fatta polemica, con una chiara denuncia della dissoluzione dell’identità storica di Forio, non ha mai avuto come presupposto l’abbandono della sua terra, il distacco dal suo universo affettivo.

Mario Mazzella

Mario Mazzella nasce ad Ischia (NA) nel 1923. All’età di tredici anni apprende le prime nozioni presso lo studio del pittore rumeno John Pletos, morto ad Ischia nel 1938 il quale scoprì nel bambino del talento ed invitò la famiglia a farlo proseguire negli studi senza sacrificare il lavoro di piccolo falegname di bottega. Nel 1940 dà inizio agli studi al liceo artistico di Napoli, sotto la direzione del maestro Emilio Notte. Con lo scoppio della guerra è arruolato nella Regia Marina. Nel ‘45 tornò nell’isola natia, per quanto vicina sempre sognata insieme a Mamma Carmela. L’epoca della guerra e i bombardamenti concorrono a imprimere nella mente del Mazzella un immagine emblematica e ricorrente nelle sue opere: l’abbraccio di madri e figli. La maternità sarà un tema sempre caro nella pittura del Mazzella.

Nell’isola provata dal conflitto regna una miseria senza eguali ma dominata con grande dignità. Il giovane Mario inizia a ritrarre all’aperto gli uomini del commando John Whyte. Sarà fermato perché il suo precario atelier sorge in zona militare. Grazie al paterno intervento del vescovo di Ischia, S.E. Mons. Ernesto De Laurentis, sarà liberato, e avrà la facoltà di poter accedere nel salone delle antiche terme comunali e di continuare a ritrarre ufficiali inglesi. In un isola la cui base navale inglese (1943) ed il Rest Camp (1944) saranno motori di un economia indigena inesistente, il Mazzella rasserenato dai primi guadagni comincia a considerare l’architettura locale e la riporta con l’aggiunta di semplice scene quotidiane; il tutto caratterizzerà uno stile personalissimo prima di una cromia aggressiva poi sempre più pacata. Nel 1944-45 insegna Storia dell’Arte presso la sezione del Regio Liceo classico, “Umberto I” di Napoli distaccata in Ischia. Successivamente insegna disegno tecnica ornato e storia dell’arte presso il vescovado di Ischia, fucina dei futuri professionisti ed intellettuali ischitani. Insegnerà nelle scuole medie di Ischia e collaborerà come disegnatore presso lo studi tecnici. Da allora in poi dipingerà senza pause vivendo tutte le vicissitudini economiche e sociali della sua isola. Le sue sono scene di vita quotidiana una vita dura, travagliata ad essere raffigurate nelle sue tele. Il personaggio ricorrente dei suoi quadri è il suo vicino, sono i personaggi del “mito domestico”, Carminiello il pescatore, Giuseppe il carrozziere, le portatrici d’acqua, i piccoli scugnizzi del Borgo.

Dal 1947 partecipa alla vita artistica nazionale ed internazionale, con mostre personali, presenze in collettive e rassegne. Nel 1956 il regista Mario Camerini gli affida il compito di scegliere i volti femminili per la pellicola “Suor Letizia” con Anna Magnani. Negli anni ‘60 è tra coloro che hanno attivamente contribuito alla conservazione del patrimonio artistico, culturale e naturale dell’Isola. Ed è proprio la volontà di preservare la sua terra dall’inevitabile metamorfosi turistica, sotto certi aspetti catastrofica, che colloca il Mazzella, secondo alcuni, come un artista senza tempo.

La sua attività di artista si intensifica notevolmente ed inizia ad esporre nelle principali città italiane: Napoli, Roma, Firenze, Milano. In Europa e negli Stati Uniti d’America: Zurigo, Ginevra, Malta, Banberg, Norimberga, Berlino, Bonn, Strasburgo, Luxemburg, Dubrovnik, Siviglia, Marseille, Londra, Parigi, New York e Tokyo.

Ottiene premi e riconoscimenti di rilievo, tra cui: nomina a Cavaliere della Repubblica, per meriti professionali. Professore d’arte “H.C” (honoris causa) dell’istituto d’Arte “G. Morandi” di Fidenza.

La fama, i riconoscimenti internazionali tuttavia, non allontanano l’artista dalla sua terra, dalla sua gente che per rispetto lo chiama “il professore”. La popolarità di questo artista è ciò che senza dubbio permette di definirlo “il pittore ischitano”. E la sua arte diviene arte del popolo, emblema dell’architettura ischitana e dello stile mediterraneo. Uomo popolare di grande semplicità vissuto di arte, di un arte che sa valorizzare il territorio e la cultura locale, è stato spesso consultato dalle amministrazioni municipali e dalla diocesi isclana per pareri artistici occupandosi di restauri e progettazioni artistiche.

Helmut Rentschler

Nato a Laupheim (Germania) nel 1901 in una famiglia di farmacisti. Suo padre era proprietario di una farmacia, mentre suo zio era pittore. Dopo il diploma visse a Tubingen, Rostock, berlino e Francoforte. Durante la seconda guerra mondiale fu prigioniero in Russia e Francia. Anche se proprietario di una ditta farmaceutica insieme al fratello non ha mai tralasciato la sua passione per la pittura ed ogni volta che raggiungeva Sant’Angelo d’Ischia portava con se il cavalletto e pastelli a cera per realizzare le sue opere.

Ha visstuto a Sant’Angelo dagli anni ’50 e trasformò un rudere nel suo atelier con vista sul mare e Capri. Anche lui , come gli altri pittori tedeschi presenti nel periodo fu ammaliato dalle bellezze dell’isola che cerco di trasmetterle nelle sue opere realizzate  con colori vivaci pastello e soprattutto a cera. Negli anni ’70 trova il suo stile ischitano. Collezionista di opere di Nolde, Bargheer, Gilles. Ogni giorno si incontrava in piazzetta con Gilles per poi cenare al ristorante da “Guido”. Con i suoi pastelli a cera esprimeva la sua gioia e contentezza e con le sue realizzazioni voleva trasmettere la felicità e la gioia.

Gertrude Helmoltz

G. Helmoltz ( info in costruzione)

Arkady Kusmin

Case a Ischia (1966)

Kusmin, Arkady (Mosca 1896-1971). Pittore fuggito in esilio a Parigi allo scoppio della rivoluzione russa del 1917, dove visse fino al 1939. Dal 1951 fino alla sua morte nel 1971, era solito trascorrere i mesi estivi a Sant’Angelo.