Personaggi del secondo ‘900 sull’isola d’Ischia

Particolarmente soggiogati dal fascino delle bellezze naturali d’Ischia furono i pittori Werner Gilles ed Eduard Bargheer, che prima iniziarono a villeggiare sull’isola e poi, alla fine del secondo conflitto mondiale, vi si trasferirono definitivamente. Proveniente dal sud della Francia con gli amici di Düsseldorf Curt Georg Becker e Josef Pieper, Werner Gilles (Rheydt 1894 – Essen 1961) arrivò per la prima volta ad Ischia nel 1931 e ne rimase folgorato. Una volta diplomatosi all’Accademia delle Belle Arti di Kassel, dal 1914 Gilles divenne allievo di Ljonel Feininger al Bauhaus di Weimar e, all’inizio degli anni trenta, ricevuta una borsa di studio dalla Fondazione “Villa Massimo”, venne per la prima volta a Roma ed in Italia. “Sguardo su Sant’Angelo”, raffigurante il piccolo borgo ischitano, frazione del Comune di Serrara Fontana, immerso nella violenta ed abbagliante “luce del sud” (inizialmente ricercata invano con l’olio e finalmente “catturata”, verosimilmente anche con l’ausilio delle geniali intuizioni di Klee, con l’acquarello), fu il primo paesaggio ischitano di Gilles. Egli tornava puntualmente a Sant’Angelo per festeggiare la ricorrenza pasquale con la gente locale, da cui era stato oramai adottato. Viveva semplicemente in una camera ammobiliata e, dopo il lavoro, spesso si concedeva una passeggiatina in paese, intrattenendosi poi al bar, ove beveva un bicchiere di vino rosso o di birra e incontrava gli “Ospiti d’Ischia”, Purmann dal Porto, Bargheer da Forio, Hans Joachim Bleusted, Alfred Hentzen, Werner Heldt con cui aveva un rapporto quasi fraterno, ed altri tra cui artisti ed intellettuali di più o meno chiara fama. Così Heldt, berlinese del 1904, viene ricordato da alcuni amici: «Di sera ci sedevamo per lo più al tavolo di Gilles, da Guido. Era un vero piacere discutere con lui, perché era saggio e rispettava le opinioni degli altri. I suoi pensieri ritornavano di continuo a Goethe che invadeva la sua anima.

Gli piacevano particolarmente i francesi Rimbaud e Lautréamont, mostrando una predilezione per la cultura francese in generale. Parlava con lentezza, con la bocca spalancata; un lieve imbarazzo gli impediva talvolta di parlare con scioltezza. Specialmente quando raccontava dei demoni che tanto lo tormentavano nei suoi sogni, o della paura degli uomini, della libertà e della responsabilità. Allora nei suoi occhi si spegneva l’amabile brillìo; essi affondavano nelle loro cavità e diventavano scuri. Si sentiva che la sua anima era malata. Quando formavamo un gruppo più nutrito si sentiva molto soddisfatto. Allora recitava con passione poesie, raccontava barzellette, aneddoti, e intonava canti militari». Proprio Heldt, l’amico più caro, improvvisamente, nella notte tra il 3 ed il 4 Ottobre 1954, morì: «Qui si è compiuto un grande destino. Il nostro buon pittore Heldt è stato ucciso da un colpo apoplettico. Il poeta Stefan Andres era venuto a trovarci qui e la sera avevamo festeggiato allegramente. Il pomeriggio successivo lo abbiamo trovato morto nel suo letto. La morte era stata tra di noi ed aveva preferito Werner Heldt a tutti noi».

Così Gilles scrisse a Purrmann il 6 ottobre, e l’indomani, con gli amici e gran parte dei paesani, accompagnò l’amico al cimitero di Sant’Angelo, ove a tutt’oggi riposa. Dopo la morte di Heldt, Gilles s’incupì e, a testimonianza di tale evoluzione del suo stato d’animo, anche le sue opere, come in particolare un ciclo di dodici acquarelli dedicati all’amico scomparso ed intitolato “Tombe pagane sul mare”, sebbene sempre fondate sul simbolismo ed il mistero, acquisirono una connotazione meno fantastica, più realista e permeata di rassegnato fatalismo, espressa, soprattutto, da una perdita decisa della solarità cromatica. Non si può dir quanto ma, sicuramente, la melanconia contribuì a render sempre più cagionevole la salute di questo grande artista, tanto da costringerlo alla semi immobilità, e ad accelerare il suo crepuscolo.

Così si legge nel suo diario senile: “Alle sei passeggio un poco e alla sera bevo il mio boccale di birra nella piazza. La luce cangiante ed il sole che tramonta sono di grande magia, e poiché io non vado più oltre, traggo tutti gli stimoli dal gioco delle luci, gioco che al tramonto è nel momento migliore”. Nel ‘61, il 22 giugno, Gilles morì. Eduard Bargheer (Amburgo1901 – Amburgo1979) venne la prima volta ad Ischia nel 1935, ritornandovi nuovamente nel ‘36, dopo essersi fermato prima a Berna, dove conobbe Paul Klee che studiava musica presso un suo prozio e poi a Firenze, presso la pensione delle sorelle Bandini, ove fu in contatto con altri artisti tedeschi, molti dei quali profughi ebrei. Le intimidazioni naziste al gruppo “Secessione”, di cui era membro, ed il conseguente scioglimento dello stesso, l’imposizione, da parte dei dirigenti del circolo nautico di cui era socio, di cambiare il nome “Hans Cartorp”, ispirato ad un personaggio di Mann, alla propria barca a vela, la precipitosa fuga in Portogallo dell’amica pittrice Gretchen Wohlwill e l’emarginazione di tanti artisti a causa delle loro origini ebraiche furono, per Bargheer, segnali sempre più inequivocabili dell’opportunità d’espatriare, come s’evince da uno stralcio della sua corrispondenza con la Wholwill: “Il fatto che in questo paese sia potuto accadere tutto ciò che oggi vediamo mi fa venire i brividi”.

La decisione di stabilirsi ad Ischia, quella piccola isola del Golfo di Napoli che tanto lo aveva affascinato sin dalla prima volta in cui c’era stato, fu presa da Bargheer nel 1940, quando, tornato in Germania per delle mostre, si rese definitivamente conto del baratro in cui stava precipitando il suo paese. «Ogni mattina, quando apro le persiane e guardo Sant’Angelo», scrisse, «sono colto sempre dalla stessa gioiosa emozione: questo posto esiste davvero, non me lo sono sognato. Domani saranno dieci giorni che sono qui e ho la sensazione che avranno una importanza determinante per tutta la mia vita futura». La bellezza dei luoghi, la semplicità e la saggezza della popolazione indigena, la luce, il mare del sud erano divenuti la fresca ed abbondante fonte ispirativa che avrebbe dissetato la creatività di questo raffinato pittore fino alla fine dei suoi giorni.

Ad Ischia, dopo brevi periodi di soggiorno al Porto e a Sant’Angelo, Bargheer scelse come definitivo ritiro Forio, ove la vita era più movimentata e la luce diurna, particolare e più durevole, gli consentiva di lavorare fino a sera. Un’appassionata testimonianza dell’amore di Bargheer per Forio fu quella di Carlo Levi in occasione d’una mostra alla galleria “L’Obelisco” di Roma nel 1949: «Soprattutto mi piacque il modo con cui parlava di Ischia, dell’Epomeo, delle cave, delle grotte, dei pescatori, degli agresti che dividono tra loro il pane e riposano all’ombra dei fichi, di quel mondo di poveri, di solitudine e d’incanto, dove la bizzarra capra è regina e il mare e la terra sono piene di presenze quotidiane. Eravamo in piena guerra e questo giovane tedesco pensava e parlava come se la ferocia, la divisione e l’assurda follia non esistessero e non lo toccassero; né si lagnava di quanto egli stesso ne avrebbe potuto soffrire (era con noi un suo amico carissimo, il vecchio e valoroso pittore tedesco Rudolf Levy, che pochi mesi dopo i nazisti avrebbero trucidato in un ignoto campo di concentramento). Pronto e spregiudicato, viveva visibilmente in un mondo libero, lasciando intuire che il suo amore per Ischia, ovvero per il simbolo di tale mondo, era per lui qualcosa di più della tradizionale passione degli uomini del Nord per le terre felici del Sud, per i Südfrüchte, per Mignon, per la luce abbagliante e colorata».

Bargheer morì il primo agosto 1971 in Germania. Gli amici di Forio attesero invano il suo ritorno. Il nazismo, oltre a perseguitare i “non ariani”, considerandoli “arte degenerata”, bandì tutte le avanguardie artistiche in nome d’un neoclassicismo becero, volto unicamente all’esaltazione del regime. Il clima d’emarginazione, se non di vera e propria persecuzione, indusse molti pittori ad espatriare, come nel caso di Bargheer, Gilles e Purrmann, in paesi meno intolleranti, quali Francia ed Italia, oppure a ritirarsi, come nel caso degli espressionisti Nolde, Barlack (Scultore, incisore e scrittore tedesco), Kollwitz e Beckman, in una sorta di “emigrazione interna”, nel tentativo di salvaguardare l’incolumità propria e delle proprie opere. Tra gli artisti che si rifugiarono in Italia giova che vengano ricordati: Schluter, Borchardt, Andres, Newmann, Tawegner, Hettner, Klaus Mann e Steiner, come non solo giova, ma è anche un dovere etico ricordare l’aiuto di alcuni intellettuali napoletani, quali Paolo Ricci, Buchicco Giordano e Carlo Bernari, ad alcuni di questi profughi stabilitisi in costiera sorrentina, tra Vietri e Positano.

Rudolf Levy

Rudolf Levy (Stettino 1875 – Auschwitz 1944) venne ad Ischia tra il ‘38 ed il ‘43, alternando il suo soggiorno isolano con brevi visite ad amici a Firenze e Positano. Era un fuggiasco disperato che, all’entrata in vigore delle leggi razziali, mentre era a Firenze, venne arrestato e, successivamente, deportato ad Auschwitz e giustiziato.Qui si inserì nella piccola comunità di artisti tedeschi formata da Karli Sohn-RethelKurt CraemerWerner GillesMax Peiffer Watenphul e Eduard Bargheer e visse vendendo occasionalmente alcune opere ma anche con aiuti provenienti dalla famiglia ed anche dalla ormai ex-moglie .

Anch’egli, come Purrmann, allievo di Matisse, dipingeva, inizialmente, su di una struttura solida con colori forti, violenti e lussureggianti, risentendo non poco dell’influenza di Cézanne. Successivamente, rispecchiando la sua vicenda, le opere di Levy acquisiranno toni cromatici decisamente più melanconici e dai suoi paesaggi scomparirà l’uomo, entità, oramai, al cospetto dei semidei, inutile, superflua, senza valore. Da sterminare. Karl-Sohn-Rethel (Düsseldorf 1882 – 1966) scoprì Positano e, col suo allievo Kurt Craemer, vi risiedette a lungo, recandosi spesso ad Ischia, ove amava trascorrere qualche mese e aveva modo d’incontrare Bargheer, Gilles, Heldt ed altri intellettuali. Dell’esperienza umana e pittorica di Sohn-Rethel ad Ischia e Positano così ci rende conto Dieter Hoffmann: “Sohn-Rethel dipingeva contro la facile bellezza. Dava ai suoi quadri una tonalità di fondo grigia e marrone, colori rocciosi e “terragni”, introduceva qua e là un rosa o un turchese. Dipingeva naturalmente. La pittura naturale ha in sé classicismo e realismo insieme. I suoi gruppi di pescatori non sono idilliaci, né lo sono i suoi contadini e i suoi carretti trascinati dai somari. Ma le persone sono sane e quindi felici, in accordo con il mare e la pace, la terra e la vendemmia. Le sue opere respirano un’aria fuori dal tempo. Di solito non vi segnava la data, né le firmava”. I suoi chiaro-scuri sono la sintesi della simbiosi culturale tra Meridione d’Italia ed Europa centro-settentrionale. Kurt Craemer (Saarbrücken 1912 – Paestum 1961), dopo esser stato in Grecia, invitato da Heldt, venne ad Ischia nel ’34.

Anche lui, sedotto dalla natura dei luoghi e dalla semplicità degli isolani, decise di stabilirsi definitivamente in Italia. Fu pittore di gran talento, colto, serio e con un innato senso estetico; fu artista che seppe crescere e le variazioni nel tempo delle sue opere, formali e di contenuto, sono il riflesso cristallizzato della sua crescita spirituale ed intellettuale. Oltre che pittore, Craemer fu anche un geniale illustratore e, tra l’altro, l’autore delle immagini dei racconti verghiani “Vita dei campi”. A Positano, ove si stabilì dopo esser stato ad Ischia, fondò una scuola di pittura. Non fu mai seriamente perseguitato dal pregiudizio razziale nazi-fascista solo perché paraplegico e, perciò, inabile al lavoro in campo di concentramento. Max Peiffer Watenphul (Weferlingen 1896 – Roma 1976), tedesco, venne la prima volta in Italia nel ’21, venticinquenne, a studiare la pittxdtra Cefalù ed Ischia. La “mediterraneità” fu per Watenphul fonte copiosa di energie creative e, secondo molti, anche lo sfondo d’un sostanziale rilancio qualitativo della sua opera. Le sue tele si schiariscono senza mai assumere la violenza cromatica di quelle di Purrmann, il suo tenue realismo si contrappone al simbolismo di Gilles, i suoi disegni si semplificano, acquisendo intensità.

Fu amico di De Pisis. Come il pittore ferrarese, non apponendo o raschiando il colore, amava lasciar vuote alcune zone di tela. Ischia ospitò per un breve periodo anche Adolf Fleischmann (Esslingen 1892 – Stoccarda 1968), ma poco si conosce dell’esperienza isolana di questo artista estremamente raffinato, la cui pittura risente dell’influenza delle avanguardie storiche e, in particolare, dell’astrattismo geometrico di Mondrian. Tra i pochi artisti italiani d’un certo rilievo che furono ad Ischia nel ‘900, vanno ricordati soprattutto Giuseppe Casciaro e Giovanni Brancaccio. Casciaro (Ortelle 1863 – Napoli 1945), condizionò l’opera di molti pittori napoletani e di alcuni di Ischia come Vincenzo ed Edoardo Colucci, Matteo Sarno, Federico Variopinto e l’adottivo Nicola Fabbricatore, sebbene altri isolani, in particolare Luigi De Angelis ed Aniellantonio Mascolo, ben poco risentirono della sua influenza. Casciaro, napoletano d’adozione, era d’origine pugliese. Soprattutto d’estate, veniva spesso ad Ischia Ponte e, in compagnia dei figli e di molti artisti locali, amava fare il bagno e prendere il sole presso la spiaggia di Punta Molino. Era un pittore già affermato, al punto d’esser stato insegnante delle principesse reali.

Opera di Giuseppe Casciaro
Giuseppe Casciaro

La sua predilezione per il “paesaggismo”, sull’esempio dei coetanei Esposito e Pratella, fu elemento di rottura tra la sua opera e quella dei suoi maestri Giacchino Toma e Stanislao Lista. Amava molto dipingere le pinete dell’Arso ed il Castello Aragonese. In gioventù aveva prediletto la pittura ad olio, ma successivamente fu affascinato dalla pittura di Degas, che aveva avuto modo d’ammirare in occasione di due inviti, rispettivamente nel 1892 e nel 1896, ad esporre le proprie opere a Parigi, presso la galleria Goupil. Desideroso di approfondire e sviluppare il nuovo approccio pittorico alla realtà ed il valore e la grazia del “tocco di colore” proposti dall’Impressionismo, decise, per meglio raggiungere tale scopo, di adottare il pastello, suscitando subito un notevole apprezzamento da parte della critica. Così scriveva di Casciaro il poeta Salvatore Di Giacomo: “Un pastello di Casciaro ha del Bach e del Mozart; talvolta è anche tragico e profondo come una commossa voce beethoveniana. Quell’eleganza deliziosa, questo spirito, questo gusto sono rari; quella forza piacevole e sicura non vi opprime, ma vi trascina. E la voce di questo adorabile artista ha netti gli accenti tra la foga ed il respiro, l’impeto e la tenerezza, un grido e un sussurro …” Matteo Sarno risentì molto dell’influenza di Casciaro, adottando anch’egli la tecnica del pastello e dipingendo vedute, tra l’altro anche deliziose, d’interni, che furono molto apprezzate dalla borghesia napoletana. Federico Variopinto e Vincenzo Colucci, due giramondo, solo inizialmente furono condizionati da Casciaro, proponendo in seguito una pittura più timbrica ed essenziale. Sulle opere di Colucci, poi, certamente esercitarono una sostanziale influenza Van Dongen e De Pisis, come si evince soprattutto dall’impronta del maestro ferrarese sulle nature morte del pittore ischitano.

Vincenzo Funiciello

Eduardo Colucci, fratello di Vincenzo, fu autore “dilettante” di opere pittoriche genuine e piacevoli. Fabbricatore seppe superare il fascino esercitato da Casciaro al punto da rigettarne, almeno in parte, la filosofia pittorica, realizzando, attraverso opere più violente cromaticamente e più essenziali, una pittura per molti versi più solida e contemporanea di quella del maestro. Brancaccio era fiorentino, visse a Ischia Ponte e poco si sa della sua vita se non ciò che ci ricorda il suo allievo ed amico Pasquale Mazzella: “Il maestro venne ad Ischia verso il 1930 da Firenze, dove era molto stimato come ritrattista presso la ricca borghesia. Venendo a Napoli e poi ad Ischia scoprì la propria vena paesaggistica. Era un uomo di media altezza e con un viso piuttosto pallido ornato da un po’ di barbetta. Visse sul Castello Aragonese ed io lo aiutavo, con Vincenzo Funiciello, Saverio Romolo e Carlo Balestrieri, a preparare i colori. Usava solo colori a pastello mescolati a bile di bue fungente da collante. Disponeva di oltre cento colori, tutti preparati artigianalmente. Non usava pennelli, proibendo anche a noi il loro utilizzo, e dipingeva con degli stecchini che costruiva personalmente. Prima di iniziare un quadro studiava a lungo la luce del paesaggio che desiderava dipingere e tutte le sue variazioni. Dipingeva all’alba e al tramonto. Non firmava i suoi quadri, sostenendo l’indipendenza del valore dell’opera d’arte dall’autore. Durante la giornata, passeggiando, raccoglieva cardi di cui era ghiotto. Molti furono i personaggi isolani ritratti dal quotato pittore fiorentino.

Spesso gli riconoscevano la propria gratitudine invitandolo ed aiutandolo nella ricerca dei materiali necessari alla preparazione dei colori. Lasciò Ischia nel ‘36 per Napoli, ove morì investito da un tram mentre tornava a casa. Brancaccio aveva una personalità molto spiccata ed una socievolezza ai limiti del misantropismo. Era estremamente severo, sia con gli altri pittori, ragion per cui disprezzava i dilettanti, che, soprattutto, con se stesso. Come paesaggista era molto vicino ai post-impressionisti, mentre nei ritratti era, piuttosto, un divisionista. Un altro artista che fu ad Ischia e di cui si sa molto poco è il rumeno Jon Pletos (Chisinau 1900 – Ischia 1938). Ucciso da un tumore al cervello, recitò una parte breve ma intensa nella scena umanistica ed artistica del ‘900 ischitano. Malgrado le sue idee rivoluzionarie, era un uomo tranquillo e ben voluto dalla gente del posto. Amava la vita all’aria aperta. Girava molto cercando di cogliere una luce. Non quella solare di Gilles o Bargheer, ma un irresistibile soffio di luce lunare. Una luce metafisica. Misteriosa. Riposa ad Ischia nella tomba di famiglia del pittore Mario Mazzella, suo amico ed allievo.

Ospiti di Ischia dopo l’ultima guerra furono Curzio Malaparte, in verità ad Ischia in domicilio coatto, e Pablo Neruda. Lo scrittore toscano risiedette a lungo presso la pensione “La Floridiana” ad Ischia Porto, sebbene durante il suo soggiorno si fosse innammorato di Villa Fassino a Lacco Ameno e, sbattendo contro l’ostruzionismo delle famigerate baronesse De Biasi, intermediarie dei Fassino, avesse tentato invano di acquistarla. E’ verosimile che la delusione per il mancato acquisto della residenza a cui tanto teneva sia stata un motivo sostanziale, se non il principale, per cui Malaparte decise di lasciare Ischia. Neruda venne ad Ischia con sua moglie Matilde sofferente d’artrosi. La coppia soggiornò per un certo periodo a Sant’Angelo, recandosi, tra l’altro, spesso ad Ischia Ponte ove la signora si compiaceva di posare per Aniellantonio Mascolo.

“Mascolo credeva nella sua terra nativa a tal punto”, scrive Domenico Rea, “da trasformare questo sentimento in vocazione d’artista e, nello stesso tempo, in ultimativo significato dell’esistenza. Questo evento, consueto ai tempi della pittura classica, all’epoca di Mascolo era già divenuto raro. In lui si ristabilisce questa corrispondenza che al suo fondo ha sempre l’iterittenza religiosa. Ovviamente si tratta di un dio panico, di una presenza diffusa che sorregge l’opera mascoliana. Ogni suo personaggio è qualcuno della terra d’Ischia, ma anche qualcuno che ha dentro di sé, e lo irraggia, un sentimento che si direbbe di ‘beato dell’esistenza’ nel senso più mite, giocoso e francescano della parola. Il sentimento, l’armonia, quel non so che d’infinito che nei secoli scorsi ha sempre espresso Ischia e che è andato in gran parte perduto, nella raffigurazione complessiva di Mascolo la si ritrova in pieno. Ed è in questo senso che l’opera di Mascolo è importantissima”. Parteciperà a due Biennali veneziane e a due Quadriennali romane. Vincerà negli anni ’50 il Premio Italia, Istituito dal Presidente della Repubblica Einaudi. Le figure delle sue incisioni, statiche, ieratiche, in perfetto equilibrio con le piccole grandi cose della quotidianità, ricordano quelle di grandi maestri del passato.

Chardin, Seurat. Forse anche di più. Brodskj e Montale, futuri premi Nobel per la letteratura, furono anch’essi a lungo ad Ischia Ponte, presso Villa Malcovati, lasciando come ricordo due splendide poesie dedicate all’isola d’ Ischia. Nell’ambito della realtà artistico-culturale di allora, più d’una citazione merita la galleria “Il Centro” di Renato Bacarelli e Luigi Pilato ad Ischia Porto, per la sorprendente qualità degli artisti, da Sironi a Rosai, da Guttuso a Waschimps, che in essa esposero le loro opere. Luchino Visconti s’innamorò di Ischia sin dalla prima volta che vi venne. Inizialmente alloggiava in un albergo del Porto, poi fittò una casa, sempre al Porto, in località Punta Molino, presso i già ricordati Edoardo e Vincenzo Colucci, intorno a cui s’era creato un piccolo cenacolo di artisti provenienti da tutto il mondo, infine, a metà degli anni ’50, acquistò una meravigliosa villa a Forio, “La Colombaia”, ove ideò e pianificò molti dei suoi lavori teatrali e cinematografici, che dopo la sua morte sarebbe diventata la “Fondazione Visconti”. All’alba degli anni ’50, a Lacco Ameno, a nord dell’isola, l’archeologo George Buchner, figlio di Paul, scopre Pithecusa, una delle più antiche colonie greche, portando tra l’altro alla luce un vaso dell’ottavo secolo a.C. recante su di sé un’iscrizione tratta dall’Iliade. E’ la Coppa di Nestore. Carlo Ferdinando Russo tradurrà quell’iscrizione. Il più antico documento in lingua greca rinvenuto nella Magna Grecia. A metà dello scorso secolo, in quest’isola di gente ancora semplice e primitiva, contadini e pescatori immortalati da Aniellantonio Mascolo e Gabriele Mattera, irruppe il cinema. I primi film girati ad Ischia sono quelli diretti da Luigi Zampa (“Campane a martello”) e De Robertis (“Il mulatto”). “Il corsaro dell’isola verde”, film d’azione a colori con Burt Lancaster ed Eva Bartok, prodotto dalla Warner Bros, che segnò l’inizio della folgorante carriera di Ken Adam (vincitore di due premi Oscar per la scenografia dei due film di Kubrick “Dottor Stranamore” e “Barry Lindon”), aiutò non poco l’economia di Ischia, esportando il fascino della sua mediterraneità in tutto il mondo. Bellissimo fu “In pieno sole”, film di René Clement, con Alain Delon e Marie Laforet. Tratto dal giallo omonimo di Patricia Highsmith, avrà un remake nel 2002, girato, sempre ad Ischia, da Antony Minghella e titolato “Il talento di mister Ripley”.

Altri film, personaggi e artisti da ricordare

Tra gli altri film realizzati ad Ischia sono certamente da ricordare “Cleopatra” per la travolgente passione che, in quell’occasione, era il 1963, scoppiò tra Liz Taylor e Richard Burton e “Cosa è successo tra mio padre e tua madre”, di Billy Wilder, per l’ indimenticabile interpretazione di Jack Lemmon. L’arrivo di Rizzoli ad Ischia rappresentò un volano per la crescita economica e culturale dell’isola e, in particolare, del comune di Lacco Ameno. Il grande editore e produttore milanese fece costruire alberghi, impianti sportivi e strutture sanitarie, diede lavoro a molti ischitani e, in modo quasi profetico, indicò il percorso da seguire per giungere ad un organico sviluppo dell’isola in ambito turistico. D’altra parte il grande rilievo cinematografico che ebbe Ischia a quei tempi, in gran parte per merito di Rizzoli, s’inseriva perfettamente in un contesto di rilancio turistico per la possibilità sia di esportare le immagini isolane attraverso il grande schermo sia, attraverso il “Premio Epomeo” di cinematografia, di calamitare su Ischia l’attenzione dello “show-business” e dei più famosi attori e registi dell’epoca come, forse su tutti, Charlie Chaplin.

Auden, Wystan Hugh (1907-1973). Poeta e commediografo anglo-americano, trascorse molti periodi di soggiorno a Forio negli anni 1948/58.

Nella primavera del ’48, con Chester Kallman, invitato da alcuni amici, venne ad Ischia, alla Pensione “Nettuno” di Forio, W. H. Auden. La scoperta dell’isola fu per il poeta inglese così entusiasmante da far divenire quella che sarebbe dovuta essere solo una breve vacanza la sua abituale villeggiatura estiva per dieci anni. Elesse Ischia e, in particolare, Forio, polarizzando sull’isola l’attenzione del mondo culturale, suo luogo “altro” in cui ritemprare spirito e corpo stressati dalla frenesia di New York, ovvero della città ove risiedeva sin da quando, prima dell’inizio dell’ultimo conflitto mondiale, aveva ottenuto la cittadinanza americana. Pochi notabili clerico-borghesi dominavano, dal basso del loro presunto alto lignaggio, la scena isolana dell’ultimo dopoguerra. Ad essi si contrapponeva la stragrande parte della popolazione, schiacciata dall’incoscienza dell’importanza d’una propria genuina identità consolidatasi nel tempo e basata sul lavoro nei campi e in mare, il culto dei Santi e tante piccole e grandi tradizioni. Auden amò quest’identità fino al punto di fondersi col “foriano” ed adottarne lo “style of life”.

Ciò gli fu anche possibile per la scarsa notorietà di cui godeva in quella remota isola mediterranea, ancora estranea alla ribalta internazionale. Solo il conferimento del “Premio Feltrinelli” permise ai locali di subodorare l’importanza di quell’ospite particolare che giocava a mimetizzarsi tra loro. Un anno dopo Auden vennero ad Ischia, accasandosi a Punta Caruso, William Walton e Susana, la sua splendida moglie sudamericana. Nel suo rifugio foriano il maestro inglese, già famoso per la “Façade”, scriverà l’inno per il matrimonio di Elisabetta II e la regina, per meriti artistici, lo nominerà baronetto.

La sua casa, che vide ospiti illustri come Lawrence Olivier e Maria Callas, oltre ad avere uno stupendo giardino, tra i più belli d’Italia, è oggi una fondazione per giovani musicisti retta direttamente dal principe Carlo d’Inghilterra. «Non ricordo», scrive Bernard Berenson, «di aver mai visto nei paesi dove sono stato un posto con più varia e più naturale bellezza di quella che ci offre l’isola d’Ischia. Due giorni fa siamo stati con i Walton alla Punta Caruso, non distante dalla loro casa, e rare volte mi son sentito commosso a tal punto dalla veduta del mare e dell’orizzonte lontano. Le rocce e i massi frastagliati e ammonticchiati su, fin verso le cime dell’Epomeo, pare che ci chiudano intorno come in una conca. E giù in fondo i dirupi, i precipizi e le grotte nascoste dai mirtilli e gli ulivi selvatici. Spettacolo numenale come sul Capo Circeo, sulla strada da Alabanda ad Alicarnasso, a Figalia e in qualche altro luogo sacro».

Forio vide l’arrivo, tra il ‘53 ed il ’56, di Herb List ed Henry Cartier-Bresson per una serie di ritratti d’artisti ed intellettuali, tra cui Auden, Gilles, Bargheer e Tchelitchew, che soggiornavano tra Forio e Sant’Angelo il primo e, come reporter di “Life”, per un servizio su Pagliacci, Cremonini, D’Assia, Brown ed altri pittori foriani nativi o d’adozione il secondo. Anche Capote venne ad Ischia per un reportage su Forio e i suoi artisti; con lui ed altri amici era Tennessee Williams, che approfittò della lunga vacanza ischitana per scrivere “Summer Crossing”, il suo secondo romanzo. Hans Werner Henze, invece, terminò durante i suoi lunghi soggiorni foriani l’opera che lo avrebbe imposto al mondo, “Il re Cervo”. Il maestro s’accompagnava spesso ad Ingeborg Bachmann, sua musa ispiratrice, autrice di molti suoi libretti e d’una bellissima poesia su Ischia. Intorno ad Auden e Bargheer seduti ad un tavolino del “Bar Internazionale” di Maria Senese a bere del vino, gravitava, ormai, tutto ciò che di culturalmente rilevante c’era a Forio o vi arrivava per andar via, tornarci o restarci per sempre. «Chissà se nei campi elisi la furba Maria non avrà organizzato, con l’aiuto di Tonino, un posto di mescita su un prato di pallidi asfodeli, al quale convengono Eduardo Bargheer e tanti vecchi foriani per parlare un po’ di noi tre all’insegna della vecchia Forio». Michele Longobardo si chiese, tracciando questo suo interrogativo sul bagnasciuga in un’assolata “Notte Bianca” dell’agosto foriano. Alcuni di noi raccolsero quella domanda, prima che fosse aggredita dall’onda e decisero di prodigarsi per immortalare quell’epoca in cui si tornava ad Ischia. Si tornava per respirare ancora una volta quell’irresistibile soffio di luce.

Hermann Poll

Hermann Poll nacque a Bielefeld (Germania) nel 1902. Nel 1931 fece il suo primo viaggio in Italia. Successivamente venne regolarmente a Ischia dove conobbe Gilles, Bargheer, Peiffer-Watenphul, Müller-Oerlinghaus, Jenny Wiegmann, Gabriele Mucchi e altri artisti.