Racconti e memorie di mio zio Silvio

Dante Comandante Chiaroveggente, Guaritore ?

L’avventurosa esistenza di questo espertissimo comandante di velieri, ci è stata raccontata per sommi capi dal figlio di Dante Iacono, Silvio, marinaio e pescatore, che per diversi anni seguì il padre nelle perigliose navigazioni a vela.

Il capitano Dante era nato nel 1887, primo di undici figli. Come ogni verace santangiolese, si imbarcò all’età di dodici anni su di una goletta apprendendo dal padre la difficile e dura arte della navigazione a vela.

Conseguita la patente di padrone, Dante Iacono prese il comando del veliero “Salvatore”, che trasportava vino in Toscana e in Liguria. Nel 1936 -poichè il mercato del vino era diventato fiacco i  velieri di S. Angelo furono adibiti al trasporto di generi diversi. Il capitano Dante si trovò in quell’anno a  caricare carbon fossile a Napoli,  con destinazione Sestri Levante. Riempita la stiva e parte della coperta con centodieci tonnellate di minerale, il “Salvatore” tolse le ancore e, approfittando del vento favorevole, diresse la prua in direzione Sud-Ovest. I primi giorni di navi­gazione trascorsero senza preoccupazioni: un leggero vento di sciroc­co spingeva la goletta lungo la costa laziale alla velocità di 4-5 miglia orarie. Al sesto giorno, però, il vento cessò e vi fu completa bonaccia.

 Il “Salvatore” restò immobile in mezzo al mare, con le vele affloscia­te. La vita di bordo scorreva lenta, con una monotonia esasperante. Il capitano Dante con le sue carte nautiche. il sestante e il portolano  calcolava la rotta e osservava di tanto in tanto i profili delle montagne che si delineavano all’orizzonte per riconoscerne le località. A sera riuniva a poppa i cinque uomini dell’equipaggio, fra cui c’era il figlio Silvio di sedici anni, e insieme recitavano il rosario. Al quindicesimo giorno di navigazione erano finite le scorte di vive­ri, mentre l’imbarcazione si trovava ancora al largo del monte Argen­tario, fra il Lazio e la Toscana. In  lontananza si intravedeva, fra un leggero vapore di nebbia, l’Isola di Giannutri, uno scogli completamente disabitato. La necessità in questi casi aguzza l’ingegno !Avvicinatisi all’isoletta fu calata in mare la scialuppa e due marinai si portarono sulla spiaggia. In prossimità di un boschetto raccolsero legna da ardere, ma la vegeta­zione non offriva alcunchè di commestibile.

Erano sul punto di far ritorno al veliero, quando il loro sguardo fu attirato ad alcuni gabbiani che…covavano le uova !Sulla spiaggia vi erano anche dei piccioni implumi che non riuscivano ancora a spicca­re il volo. Le povere bestiole furono immediatamente catturate e, insieme alle uova, finirono nel tegame del cuoco di bordo. I marinai si sfamarono per alcuni giorni con ottime frittate di uova di gabbiano e brodo di piccione! In capo ad una settimana, perdurando sempre bonaccia.la barca san­tangiolese raggiunse Porto Santo Stefano, dove furono fatte provviste di gallette, stoccafisso e pane; poi la navigazione riprese con un legge­ro vento di scirocco.

  Una sera capitò un fatto strano. Avevano da poco finito di recitare il rosario, quando il capitano Dante chiamò il figliuolo e gli affidò il timone, poi si avviò verso la stiva, dove c’era il cumulo di carbon fossile sistemato sulla coperta. Il silenzio della sera fu interrotto all’im­provviso da alcuni rumori sordi, simili ai colpi di un martello, che pro­venivano dal luogo dove si era diretto il comandante.

Silvio, incuriosito, lasciò il timone al marinaio e andò a sbirciare die­tro il carbone. La scena che gli si offri fu a dir poco straordinaria: il padre, seduto su di un rotolo di corde, inchiodava dei pezzetti di le­gno a forma di croce e li lanciava di tanto in tanto in mare, mormorando parole incomprensibili.

Il ragazzo, stupito, si allontanò per non essere scoperto, e riprese la  barra, facendo finta di niente.

Il capitano lo raggiunse più tardi. Vedrai gli disse con sicurezza­ questa notte ci sarà una sciroccata come Dio comanda in ventiquat­tr’ore staremo a Sestri Levante!- .

La frase fece sorridere il ragazzo. Il mare era calmo come l’olio, non tirava un alito di vento. La goletta sembrava immobile in quell’immen­sità di cielo e mare, quasi predestinata a restare come pietrificata, in quel deserto immoto e silenzioso che evocava tragedie del passato, ga­leoni fantasmi, spariti nel nulla, inghiottiti da mostri marini o da vor­tici misteriosi e inspiegabili. Verso le due di notte, il veliero cominciò a muoversi; il mare si era ingrossato sotto un vento fattosi via via impetuoso che spirava verso la costa.

 Tutte le vele al vento !- gridò il capitano Dante ai marinai che dormivano saporitamente sotto coperta. Silvio scattò come un gatto ;affer­rò i cavi e assicurò il sartiame alla velatura. I marinai spiegarono i fioc­chi e la randa, mentre la barca già filava veloce sulle onde spumeggian­ti, spinta dall’ampia velatura rigonfia della maestra e del trinchetto. Arrivarono a Sestri con il vento in poppa dopo un giorno e una notte di veloce navigazione : esattamenta ventiquattr’ore dopo il miste­rioso presagio del capitano Dante !

Abilità marinara ? Precognizione ? Straordinario intuito sostenuto da una fede religiosa condotta oltre ogni limite, quella del capitano Dante ? La risposta non è facile, sebbene nella comunità santangiole­ se quest’uomo godesse da tempo la fama di essere un chiaroveggente e un guaritore.

A tale proposito si racconta anche che nel 1946 un figlio del Comandante Dante, Leonardo, di diciannove anni, fu ricoverato nell’ospedale civile di Viareggio perchè affetto da una violenta infezione di tifo. Dopo diversi giorni di degenza, le condizioni del giovane peggiorarono a tal punto che i medici lo diedero per spacciato.

Furono chiamati i familiari da S.An­gelo, mentre alcuni parenti di Viareggio e il fratello Silvio assistevano l’infermo, ormai in fin di vita. Il capitano Dante si trovava in navigazione. Al primo porto di attrac­co fu avvisato degli accadimenti. Lasciato il veliero, saltò sul primo tre­no per Viareggio, dove c’era ad attenderlo Silvio. Alla vista del padre, il ragazzo ruppe in lacrime : – Papà, non c’è più niente da fare. Leonar­do è moribondo! E il capitano Dante senza scomporsi disse: Non ti preoccu­pare, tuo fratello sta bene !-.

Nella stanzetta del reparto infettivi entrò soltanto Dante; gli altri furono lasciati fuori. Silvio ·che curiosava da anni sugli “strani” com­portamenti del genitore- sbirciò dal buco della serratura e vide ilpadre inginocchiato ai piedi del letto che imponeva le mani sul corpo del figlio e pregava. Restò nella stanza per un buon quarto d’ora, fin quando Leonardo, come tornato a novella vita, si sedette in mezzo al letto, dando chiari segni di miglioramento. Nel giro di una settimana veniva dimesso dall’ospedale, completamente guarito !

Un altro episodio di vita marinara

Esso risale all’estate del 1937, quando la goletta di Dante era diretta in Sardegna con un carico di tondini di legno da consegnare ad una miniera nei pressi di Alghero. Dopo una navigazione  abbastanza tranquilla, giunti nel golfo del Leone, i santangiolesi furono sorpresi da una violenta tempesta con mare forza otto. Dante, per operare una “puggiata” , invece di aggirare l’Isola dell’Asinara, imboccò lo stretto dei Fornelli, fra la Sardegna  e I’Asìnara,  dove  c’erano  diversi banchi  di sabbia  e alghe.

Il veliero, spinto dal forte vento, non riusci ad evitare le secche e si incagliò. Da lontano gli ergastolani, che vivevano liberi sull’lsola, osservavano incuriositi la scena. Il capitano Dante tentò diverse manovre per disincagliare la barca, ma visti inutili tutti i tentativi, ordinò ai marinai di alleggerire il cari­co, buttando a mare parte dei tondini di legno.

Intanto alcuni ergastolani, con l’evidente intenzione di aiutare i marinai in difficolta, si lanciarono in mare e con poche bracciate raggiun­sero il veliero. Le operazioni di scarico dei tondini proseguirono cosi più spedite: i marinai buttavano in acqua le “balle” che venivano poi legate con le corde per consentirne il recupero più tardi. Mentre il lavoro procedeva senza difficoltà, ecco avvicinarsi sotto bordo una motolancia carica di guardie carcerarie, allarmate per la “scomparsa” di tre detenuti. Questi stavano tranquillamente in acqua e legavano le.balle con naturalezza, come dei provetti marinai;  soltan to la divisa tradiva il loro stato di ergastolani.

Saliti a bordo, i militari interrogarono il capitano Dante. Volevano conoscere il motivo della presenza del veliero nei paraggi dell’Asinara e le ragioni della “fuga” dei tre detenuti. La risposta di Dante non risultò convincente : il buon uomo, in perfetta semplicità, aveva affer­mato che i tre reclusi si erano offerti, spontaneamente, di aiutare il ve­liero in difficolta, senza chiedere nulla in cambio. Le guardie, al contrario, sospettavano un piano di. evasione messo in atto dagli ergastolani con la complicità dei marinai santangiolesi

Con questi presupposti, il capitano Dante fu condotto con i tre “evasi” alla Direzione del penitenziario, fra lo stupore dell’equipaggio già duramente provato dall’incidente. Fortunatamente il direttore del carcere era una persona perspicace e intelligente. Capi a volo l’intera questione e congedò subito Dante, limitandosi a una generica raccomandazione per l’avvenire.

Dopo due giorni di duro lavoro, il veliero fu disincagliato e il carico recuperato. Con ilvento favorevole, Dante puntò verso l’Argentario, nella cui insenatura c’era una spiaggia dove si apriva l’imboccatura di una miniera d’argento. Qui furono scaricati i tondini. Nel corso della notte, il “Salvatore” tolse le ancore precipitosamente perchè un improvviso uragano, con forte vento di Ponente, stava spingendo il veliero sugli scogli.

La manovra riusci appena in tempo : ancora pochi minuti di ritardo e l’imbarcazione si sarebbe trovata intrappolata nella baia ! La barca si diresse decisa su Alghero, spinta da un vero e proprio fortunale. All’altezza di capo Caccia, il mare si placò alquanto renden­do agevole l’approdo nel porto di Alghero .

Quì i santangiolesi restarono quindici giorni per caricare sessanta tonnellate di fave e una scorta di scorza dì sughero che veniva utilizza­ta per dare la tintura alle reti da pesca.

Durante le operazioni di carico, capitò un fatto veramente increscio­so. La polvere di fave, considerata da sempre potente veicolo di infe­zione, al contatto con la pelle dei marinai, produsse un’epidemia di scorbuto. I santangiolesi furono tormentati per diversi giorni da un tremendo prurito e da schifose pustole comparse su tutto il corpo.

Con la remissione del morbo, Dante decise di partire alla volta di Genova e Savona. Il viaggio di ritorno dalla Sardegna, inizialmente, si svolse senza incidenti di sorta, ma appena doppiata l’Asinara, si scatenò un violento nubifragio, con fortissimo vento di Libeccio.Nel corso della notte la tempesta aumentò di intensità. Le raffiche di vento si abbatterono sulla goletta con inaudita violenza, le onde spazzavano la tolda con una furia apocalittica, l’albero di trinchetto, infine si spezzò in un rovinio si sartiame e velature.  All’alba la tempesta si placò e i marinai si diedero subito da fare per riparare al meglio  i danni alla barca. Il capitano Dante, dal canto suo scrutava l’orizzonte con il cannocchiale, ma intorno non vi era che l’immensa distesa del mare. Occorreva a questo punto calcolare la rotta di navigazione perché la tempesta aveva fatto “scarrozzare” per tutta la notte, a proprio piacimento, la piccola imbarcazione. Il capitano srotolò la carta nautica, e con il sestante eseguì una serie di calcoli, poi mise la barra a dritta di due gradi. Navigarono per alcuni giorni e Dante, ogni due-tre ore, ritornava sulla carta per calcolare nuovamente la rotta. Della terra, intanto, nemmeno l’ombra !

Un mattino il capitano chiamò il figlio Silvio e gli disse: Sali sull’albero e stai attento perché fra poco dovremmo essere in vista di Portofino. Il ragazzo si arrampicò sull’albero  maestro a scrutare l’orizzonte. Verso mezzogiorno apparve in lontananza il profilo azzurrino di una montagna. Terra ! ·gridò Silvio portando le mani alla bocca , ad “imbuto”.

Appena possibile descrivimi la forma ! gli intimò Dante dalla timoneria. Inutile dire che il “Salvatore” era arrivato nel golfo di Genova, proprio al largo di Portofino!

Per rendere l’idea della bravura del capitano Dante, il figlio Silvio racconta un ultimo episodio accaduto a S. Angelo nel 1925. Un grosso bastimento proveniente dalla Sicilia -era un brigantino a tre alberi- spinto dalla tempesta tentava di raggiungere Capri navigando con vento di Nord -Est e con mare forza nove. L’equipaggio , duramente provato dall’uragano che imperversava da alcuni giorni, non era più in grado di governare la nave, nè il capitano riusciva ad imbroccare le manovre giuste per riparare in qualche porto.

 Doppiato il faro di Capri, il brigantino si allontanava sempre più ver. so il mare aperto, dal lato di S. Angelo. Allora -per una qualche intuizione del comandante- furono fatte delle segnalazioni con le bandiere una specie di S.O.S..

A Sant’Angelo, marinai e pescatori avevano seguito le alterne fasi del brigantino, ormai abbandonato alla furia dei marosi, ma non riusciva· no a spiegarsi il motivo di quelle manovre senza senso, operate prima al largo di Capri e poi verso Ischia. Alla vista delle segnalazioni, Il capitano Dante si precipitò ad allestire una lancia con cinque rematori e con questa affrontò il mare in burrasca, con un coraggio che rasen­tava l’incoscienza. La barca santangiolese lottò con il mare in tempesta per una buona mezz’ora, rischiando di essere travolta dalla furia delle ondate, ma infine le poderose braccia dei marinai ebbero ragione perfino dell’uragano. Accostati al brigantino, quegli ardimentosi si arrampicarono lungo la murata della nave e presero il governo di quel veliero tanto familiare al loro lavoro:

Il capitano Dante rincuorò l’equipaggio e diede le istruzioni per ef­fettuare le bordate necessarie per poggiare a S. Angelo. In meno di un quarto d’ora il brigantino, con Dante al timone, si trovava al sicuro dietro la Torre !