La gara dei gozzi – 1934

Un racconto d’altri tempi dove i remi pesavano quanto un albero, e le regate si svolgevano in mare aperto in condizioni a dir poco proibitive, ma la forza di volontà di quella generazione andava oltre.

Nella primavera del 1934 viene organizzata una grande manifestazione: il raid Napoli- Roma al quale prendono parte venti equipaggi, composti da 6 rematori più timoniere, formati da pescatori reclutati nelle località marinare del Golfo di Napoli e della Costiera amalfitana.

Sono presenti ben quattro equipaggi ischitani: il gozzo “San Michele” di S.Angelo, “Antonio Scannapieco” di Ischia Porto, il “Nazario Sauro” di Lacco Ameno e il gozzo “Pietro Matarese” di Forio.

Il 2 maggio prima di scendere in acqua i marinai santangiolesi si recarono nella loro chiesetta per chiedere l’aiuto divino e promettere al santo patrono S.Michele, il loro guerriero santo protettore, una gran festa degna del suo nome se li avesse assistiti in quella che era una missione: “Vincer bisogna” e dopo un silenzioso saluto ai caduti in guerra nel cimitero vicino ecco la discesa in acqua: Egidio Di Iorio (detto Rondinella e capitano dell’ imbarcazione), i fratelli Luigi e Michele Mattera (nominati per la loro forza i “marosi”), Alberto Mattera (fondatore con Linda Penzel dell’Hotel Miramare, detto “maciste”), i fratelli Domenico e Giovanni Barricelli (rispettivamente “Ferone” e “Tosce” quest’ultimo descritto come una vera forza della natura), ed infine Federico Mattera gran pescatore di polpi e sorci di mare.

La traversata era cosi strutturata; prima tappa a Gaeta, le successive a Terracina, Anzio, Fiumicino. L’ultimo tratto della gara che sancirà l’equipaggio vincitore è tra ponte Margherita e lo scalo De Pinedo. “Vincer bisogna” e vinsero nel nome di Dio e di tutti i santangiolesi. Nell‘amore per la loro terra, la loro gente, che li avvinse in una sola volontà, con la tenacia dei loro muscoli, con l’arte speciale della loro voga caratteristica, con lo sforzo possente che li faceva piegare tutti tesi sui remi. L’umiltà di questi eroi la si evince quando salirono al Campidoglio per la premiazione ed in quell’occasione che si rivela la soddisfazione del trionfo, ma sono modesti anche nel merito e al chieder delle loro impressioni quando videro Benito Mussolini tacciono in un sentito nostalgico ricordo che sa di orgoglio e passione. Appresero la vittoria, quasi con timore, tutti avevano dato, niente chiedevano, neppure la vittoria che tanto aveva fatto parlare. Ritornarono trionfanti a S. Angelo, ove furono accolti come eroi quando dalla torre si intravidero i 7 “leoni” che: andarono-videro-vinsero. Fu festa grande con la commozione dei loro cari, la riconoscenza di un paese intero che non sarebbe stato più ignorato, perché aveva i suoi campioni del cuore riscaldato alla luce di Roma eterna. Per adempire al loro voto con il patrono i sette marinai caricano sulle spalle la statua di San Michele durante la processione con maglia calzoni blu e berretto rosso, e confusi con il sapore delle alici fritte dalle donne, mentre la musica popolare coinvolge tutti, mentre le batterie intronano i loro colpi tra i monti e il mare, il sacerdote benedice la barca e con essa benedice i sette marinai.